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Novembre 2, 2023Vi racconto un episodio accaduto nel 2004 in Africa, all’inizio del mio volontariato per la missione di Isimani. All’interno della missione, c’era una gabbia, fai conto una grande voliera, al cui interno però non vi erano uccelli bensì… due scimmie, due babbuini che rispondevano ai nomi di Wasi Wasi e Paulina. Wasi Wasi era un impenitente onanista, ma lasciamo stare; Paulina invece era una scimmietta più piccola ma totalmente fuori di testa, un’isterica.
Ora, nascere scimmie in Africa e finire chiuse in gabbia è qualcosa che travalica la sfiga e la sublima. In più, una notte il buon Wasi Wasi, che aveva la perniciosa abitudine di tenere un braccio fuori dalle sbarre chiedendo sempre qualcosa da mangiare, era stato aggredito dai cani che gli avevano strappato la pelle. Il braccio sinistro della povera scimmia sembrava uno di quei guanti lunghi, da vamp dei film anni 40, Marlene Dietrich o chi per lei, la diva che fumava una sigaretta dal lungo bocchino con, appunto, i guanti bianchi fino al gomito. Una scena raccapricciante a ricordarla.
Per cui, al gruppo di volontari che eravamo presenti in missione in quel periodo si prospettò l’obbligo di prenderci cura del povero Wasi Wasi. Pertanto, decidemmo di fare una riunione per stabilire cosa fare per affrontare il problema della scimmia aggredita. Si chiamò un veterinario, il quale disse che poteva venire solo l’indomani mattina. E neanche con certezza. Era il pomeriggio del giorno precedente, per cui per il povero primate si prospettava ancora tanto tempo con il braccio in quelle penose condizioni. Qualcuno ventilò la possibilità di abbattere l’animale.
Ora, mentre noi facevamo la riunione operativa da unità di crisi della Farnesina, per stabilire cosa fare con la povera bestia, sentiamo che nella zona della gabbia delle scimmie c’è una certa vivacità, sentivamo voci, anche concitate. Di là, mentre noi discutiamo la strategia, avviene il blitz clinico-operatorio. È già all’opera uno staff guidato da mama Samueli, la dottoressa del dispensario, alacremente collaborata da mama Mario, un’anziana, simpaticissima donnetta tuttofare, da Lukas Kokola, il factotum della missione, e da altri cinque-sei ragazzi, studenti della scuola di falegnameria.
La prima cosa da fare era separare le due scimmie. Mama Mario entra nella gabbia e parlamenta con le due bestie, in particolare con Paulina, la più piccola e aggressiva delle due. Cerca di rabbonirla ma non solo non la rabbonisce, anzi si incavola pure lei, per cui senza tanti complimenti la scimmietta viene presa dalla donna, aiutata dai giovani, e viene ficcata coattivamente dentro un’altra gabbia. L’atmosfera si fa altamente surreale. Noi assistevamo messi da canto, con stati d’animo che andavano dal terrore allo spasso.
A questo punto, neutralizzata Paulina, Wasi Wasi, la scimmia ferita, giustamente riluttante, viene presa e tenuta ferma da quattro volontari mentre la dottoressa le medica il braccio, ormai ridotto all’osso. L’operazione, fino alla fasciatura, sarà durata una ventina di minuti circa, finché la bestia non comincia a vendicarsi… sputando. Al che mama Mario la rispedisce, medicata, in gabbia con l’approvazione e l’ammirazione dei presenti.
Meno male che c’erano loro. Noi però avevamo fatto una riunione operativa!
Riunione operativa all’italiana
contro il pragmatismo africano