
La caduta di Dar
Ottobre 6, 2020
Wasi-wasi
Ottobre 19, 2021A Nyumba Yetu veniamo sempre in gruppo. Dei bei gruppi allegri, vocianti e fortemente fastidiosi. Per cui normalmente ci aggiriamo per le vie del Centro sempre a due o tre o anche a gruppetti. Chi parla ad alta voce, chi canta, chi italianamente urla senza un valido motivo, chi gioca al parco giochi, chi chiama i bambini, chi chiama gli altri. Insomma, nessuno che si faccia in silenzio i fatti suoi.
Non mi era mai capitato però di venirci da solo, per cui non immaginavo come potesse essere, soprattutto alla sera, quando da solo torni in camera per andare a letto. Però se qualcuno ha familiarità con Stephen King o i classici dell’horror potrà anche averne un’idea. In una parola sola: l’appagno.
Verso le nove-nove e mezza, torno in camera mia, nella casa numero 14 (che già mi sembra un buon titolo) e, chiaramente, non trovo nessuno. Anzi, spero che non ci sia nessuno, visto che le tenebre e il silenzio assoluto, tetri e spettrali, la fanno da padroni. Ricordo l’anno scorso c’erano ben tre bambini in quella casa, per cui di silenzio neanche l’ombra. Quest’anno invece è sepolcrale!
Quest’anno infatti gli eventi mi impongono di dormire totalmente solo in questa casa, la n. 14. Arrivo, apro la porta centrale e mi ritrovo nel grande soggiorno: al buio. Cerco di accendere la luce del telefonino ma l’appagno comincia a farsi sentire, pertanto mi impappino con ciò che ho in mano: chiavi, telefonino, fogli di carta. Vabbè, alla fine riesco ad accendere la luce. Nell’interruttore ci sono sempre due pulsanti; uno accende, l’altro no. Ovviamente schiaccio quello che non accende e la tensione sale. Riprovo e finalmente pigio su quello giusto. A luce accesa si ragiona meglio.
A questo punto decido di andare dritto in camera mia. A questo punto decido di andare dritto in camera mia? No, ovviamente, perché la curiosità, che ha esigenze diverse dall’appagno, mi induce inspiegabilmente a girami tutta la casa per vedere se, tante volte, vi si nasconde qualcuno. Nel silenzio più opprimente apro la prima porta, e punto la luce del telefonino al centro della stanza. Nessuno. Pertanto, comincio a guardare negli angoli, dietro la porta, dietro l’armadio. Nessuno. Sento un formicolio per tutto il cuoio capelluto (capelluto, vabbè!) e mi gratto la testa per l’eccitazione. È l’appagno. Torno indietro ed entro nell’altra stanza, totalmente vuota, con una porta che dà su un’altra stanza ancora. Questa porta si può chiudere con un chiavistello piuttosto robusto. Ed è quello che faccio, nel tentativo di intrappolare l’assassino che certamente vorrà squartarmi con un coltello da macellaio.
Potrei andare in camera a questo punto ma uscendo dalla stanza gli occhi mi vanno alla porta della cucina. È sicuramente la stanza più pericolosa che c’è, piena com’è di coltelli, arnesi appuntiti e pelapatate. Mentre mi ci reco a passi lenti ma decisi, col cuore in gola, comincio a sentire la musica di Profondo rosso. L’appagno non mi molla un attimo. Con una secca mossa del polso sinistro – nella mano destra ho ancora la luce del telefonino – apro la porta della cucina e per fortuna non c’è nessuno. Sicché torno indietro. Mi mancano solo i bagni, i temibili bagni pieni di anfratti, dove potrei trovarci It, Freddy Kruger o Annabelle, la bambola assassina. O persino tutt’e tre. Esploro i bagni e per fortuna i tre avevano optato per un bel pombe al pub di Lugolola.
Stavolta sì, torno in camera e vado a letto. Ci sono solo rumori di ogni tipo, di origine animale o vegetale, ma almeno l’appagno è andato via.
Alberto Todaro
Da soli a Nyumba Yetu non è la stessa cosa.
La notte fa veramente paura.