
A Iringa in dalla-dalla
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Ottobre 6, 2020C’è sempre una sorta di Babele, a Isimani. Le lingue si rincorrono, spesso si sovrappongono e talora capita di incorrere in equivoci di qualche tipo. Ad esempio, se qualcuno dice nyoka (pr. gnoca), il volto del maschio italiano si illumina mentre quello del tanzaniano no. Ricordiamo ancora quando Kokola, un giovane che lavorava in missione, chiamandoci con insistenza, gridò: Nyoka, nyoka. Noi maschietti accorremmo senza indugio, speranzosi, ma restammo interdetti quando vedemmo il nostro uomo sferrare potenti colpi di bastone dietro un cespuglio all’indirizzo della suddetta nyoka, che in swahili significa serpente. O come quando padre Angelo mi disse di andare a prendere una bahasha. “Per chi mi hai preso?”, stavo per dirgli. Guardando il mio volto perplesso, si affrettò a dire che la bahasha è la busta. Come spesso molte parole hanno la desinenza in -nguluo in -fika, sulle quali desinenze per decenza taccio.
Le lingue che ricorrono a Isimani sono tre: lo swahili, lingua della nazione ospitante, l’italiano, parlato da tutti i volontari, e l’inglese, per chi se la cava. In subordine altre lingue, ad esempio, nel 2008 lo spagnolo ebbe una discreta rappresentanza.
Ma proprio con l’inglese è accaduto il seguente episodio che ci è stato raccontato. Allora, c’era questo tizio, seduto a tavola con altri, che chiacchierava in questo triplice tourbillon di lingue. L’inglese si alternava all’italiano, che inseguiva lo swahili e così via. Essendosi fatto tardi, una sista(suora), che si era appena espressa in inglese, lo invita, ma in italiano, a sbrigarsi dicendogli: Dai, dai! È l’uomo, pensando che parlasse ancora in inglese, sbalordì all’esortazione, visto che la stessa, in inglese (Die, die!), significa: Muori, muori!
Alberto Todaro
Tra lo swahili, l’italiano e l’inglese
c’è il rischio di fare molta confusione